«Da stornellatore moderno e cantautore metropolitano
Mannarino compone musiche di confine, eclettiche e contaminate, ispirate ai
suoni ed ai volti di una via Casilina globalizzata dove Gabriella Ferri
passeggia con Manu Chao e Domenico Modugno va a braccetto con Cesaria Evora.
Nei suoi testi, macchiati dai forti toni del surrealismo, si vivono storie
oniriche di pagliacci, ubriachi e zingari innamorati. Partendo
dalle sonorità e dai ritmi della musica popolare italiana Mannarino condisce il
proprio mondo con elementi di musica balcanica e gitana, citazioni felliniane e
evoluzioni circensi.»1
Alessandro Mannarino, romano, classe ’79. Attivo dal
2001, forma nel 2006 i “Kampina”: trombone, basso, fisarmonica, batteria,
violino e chitarra. A partire da questo momento lo si vede calcare la scena
musicale romana in ogni suo ambito, dalle piazze ai più famosi locali della
capitale. E non solo: dalla fortunata partecipazione a “Parla con me” di Serena
Dandini, a “Viva Radio 2” di Fiorello e Baldini, alla trasmissione radiofonica
“Vasco de Gama” di Riondino e Vergassola per cui ha composto la nuova sigla, il
cantautore ottiene successo di critica e pubblico.
L’esordio discografico avviene nel 2009 con “Bar della
rabbia”. Pubblicato nel 2009 dalla Leave music e distribuito dalla Universal
Music, l'album è stato finalista al Premio Gaber e al Premio Tenco nella
sezione Miglior opera prima.
Capolavoro.
«La rabbia potrebbe essere
un cubo di ghiaccio che si scioglie in un bicchiere di whisky. Per me questo
disco è un whisky buono. La rabbia viene quando si è delusi, quando si è stati
messi da parte, nel disco gli esiliati dalla normalità, i caduti, i disperati,
trovano un posto in cui raccontarsi, riscattandosi forse pure dalla rabbia». A. Mannarino
Me so'mbriacato
L’universo multiculturale romano in ogni suo aspetto, i
suoi personaggi più surreali e insieme così crudi, così quotidiani nella loro
tragicomicità: il tutto attraversato da una narrazione che passa dai toni dei tradizionali
stornelli romaneschi del Bar della rabbia
alla taranta di Scetato vajò al
teatro-canzone de Il pagliaccio.
Esibizione live fnac di Napoli del "Pagliaccio"
Insomma Mannarino, passando tra ritmi zigani, balcanici e
nostrani, canta, grida e sussurra con quella sua affascinante e coinvolgente
voce arrochita una ciurma di ribelli, esiliati in una terra al confine tra la
quotidianità e la fantasia.
Questo continuo saltellare di voce e suoni, unito alla
spiccata propensione teatrale dell’autore, rende l’album uno di quelli che non
stanca, non tedia, tiene continuamente sulla corda e anche dopo molti ascolti continua
a presentare sorprese.
La volontà del cantautore di dar voce agli esiliati, ai
vicini di casa un po’ scomodi, emerge da Tevere Grand Hotel, il cui video è
interamente girato nel campo Rom più
grande di Roma, il Casilino 900.
Tevere grand hotel
Tracklist
1.Intro
2.Me
So 'Mbriacato
3.Svegliatevi
Italiani
4.Elisir
D'Amor
5.Le
Cose Perdute
6.Il
Bar Della Rabbia
7.Tevere
Grand Hotel
8.Scetate
Vajò
9.Osso
Di Seppia
10.La
Strega E Il Diamante
11.Il
Pagliaccio
12.L'Amore
Nero
13.Soldi
14.The
End
E due anni dopo l’album d’esordio, torna a stupire con il
secondo album, Supersantos: «uscito il 15 marzo, è composto da undici
brani che raccontano un viaggio a piedi per le vie della città, dove si
intrecciano vicende e personaggi legati ad un filo comune, quello della fine
del mondo.»2
«Il
primo album era ambientato in un bar, era molto radicato nella propria nicchia,
c’erano dei personaggi che si raccontavano all’interno di un posto ben preciso.
Il secondo album ha abbandonato il bar ed è ambientato nella strada, per le
strade. Pertanto anche i contenuti sono diversi: in questo secondo album ci
sono temi come la vita e la morte, c’è una ricerca sull’umanità e la vita su
questa terra, in cui c’è una sostituzione del pensiero religioso con quello
magico e vitalista.» A.
Mannarino
E la sostituzione del pensiero religioso passa prima di tutto da
una critica alla dogmaticità della Chiesa, perché anche quello del Vaticano e
dei suoi ipse dixit è un lato di Roma, è la vetrina che guarda il mondo:
critica condotta da una rivisitazione del personaggio di Maddalena, dall’amore
con Giuda, così umano e contrapposto alla fredda austerità di un Dio invidioso
che “tutto da e tutto toglie”:
Maddalena allora s'alzò e urlò con tutto il
cuore
Dio non mi fai paura
Tu che hai fatto un figlio senza far l'amore
Che vuoi capirci di questa fregatura?
Lascia stare Giuda e guarda altrove
Ecco, guarda la mia scollatura
E io mi guarderò dalla tua invidia
Perchè Dio non gode come una creatura
«Quel che volevo dire è che la Chiesa
nasce dalla paura per una donna libera, che in fondo tutto quell'apparato serve
solo a mettere a tacere Maddalena. Ma non so se ce l'hanno fatta, ci sono
ancora tante Maddalene che parlano. […] Credo che alla base ci sia una paura
della morte intesa come morte civica, sociale, intima, che origina da un amore
viscerale per la vita. I miei personaggi dicono che non hanno bisogno di un
paradiso postumo, che la loro vita è qui e questa è una cosa che libera perché
se mi sento oppresso non aspetto di morire per essere il primo in paradiso, mi
ribello qui e ora.» A. Mannarino
E ancora gli espropri fisici e
morali di una Chiesa sordida e criminale:
“Gli
presero la casa ed il giardino
In
nome della grande santità
E
Giuda prese a fare a nascondino
Con
lo specchio e con la dignità” (Maddalena)
"Serenata
lacrimosa sui gradini della chiesa ma chi me sente?
er
vescovo c'ha er microfono e io niente
e lui vorebbe una cosa solamente..
che se seccassero tutte le donne
che fà l'amore fosse un incidente" (Serenata
Lacrimosa)
"C'è
chi ha detto "m'hanno derubato i preti e lo stato"
l'hanno condannato più le spese
e adesso fa la questua nelle chiese" (Serenata
Silenziosa)
Di nuovo sonorità esotiche si
mescolano alla più grande tradizione cantautoriale nostrana nel raccontare
storie di periferia: da Marylou, l’altro
grande personaggio femminile insieme a Maddalena, alla Donna fugata, al tristemente stupendo Onorevole.
E di nuovo stupisce intervallando
pezzi carichi e dal ritmo popolare salentino con pezzi come Statte zitta, sussurrati, intimi, dall’atmosfera
blues, per poi precipitare di nuovo con L’Era
della gran publicitè in un gioioso gioco di parole e di suoni, scritto in
cinque lingue!
L'era della gran publicitè
Tracklist:
1.Rumba
Magica
2.Serenata
Lacrimosa
3.Statte
Zitta
4.Quando
L’Amore Se Ne Va
5.L’Era
Della Gran Publicitè
6.Serenata
Silenziosa
7.Maddalena
8.Marylou
9.Merlo
Rosso
10.L’Onorevole
11.L’Ultimo
Giorno Dell’umanità
12.Donna
Fugata
La poesia di un cantautore del terzo millennio: capace di
coniugare campanilismo, nel senso positivo del termine, attaccamento alle
proprie radici e tradizioni, alla vitalità di un mondo che troppo spesso
tentiamo di allontanare.
Ricordo a Mario Luzi, due settimane prima dell'anniversario della sua morte, avvenuta il 28 febbraio 2005.
Muore ignominiosamente la repubblica. Ignominiosamente la spiano i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti. Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto. Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani, si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli. Tutto accade ignominiosamente, tutto meno la morte medesima - cerco di farmi intendere dinanzi a non so che tribunale di che sognata equità. E l'udienza è tolta.
Mario Luzi
Mario Luzi, poeta fiorentino e padre della corrente ermetica (1914-2005), nel 1978 pubblica questa poesia, all'interno della raccolta Al fuoco della controversia. Il 1978 è un anno chiave della storia d'Italia: il rapimento Moro, la sua uccisione e quella di Peppino Impastato, la 180 e la 194, Pertini e Wojtilia. Il disgusto verso la situazione politica italiana, così tristemente vicina a quella odierna in quanto a corruzione e sfaldamento delle istituzioni, che traspare da questi versi, tra i più famosi della produzione dell'autore, è parte di una generale crisi che caratterizza la produzione ultima di Luzi. Maggior rappresentante del gruppo ermetico fiorentino affermatosi negli anni Trenta, racchiude in sè stabilità ed aderenza ai canoni formali della poesia e contemporaneamente profondo mutamento. Dal punto di vista contenutistico,la certezza della fede religiosa gli ha infatti permesso una solidità che si scontra con la generale crisi d'identità che coinvolge la maggior parte dei poeti novecenteschi; allo stesso tempo Luzi vive la propria fede in modo assolutamente travagliato, cercando continuatamente di verificarla nei rapporti sociali e storici, e nella sua stessa arte. Esempio del continuo confronto tra temi religiosi e problematiche civili sono le liriche contenute all'interno de "Al fuoco della controversia": tra le mie preferite, A che pagina della storia:
A che pagina della storia, a che limite della sofferenza-
mi chiedo bruscamente, mi chiedo
di quel suo "ancora un poco
e di nuovo mi vedrete" detto mite, detto terribilmente
e lui forse è là, fermo nel nocciolo dei tempi,
là nel suo esercito di poveri
acquartierato nel protervo campo
in variabili uniformi: uno e incalcolabile
come il numero delle cellule. Delle cellule e delle rondini.
Evidente qui la ricerca continua di Luzi di ritrovare i segni dell'esistenza trascendente e metafisica di Dio nell'immanenza e nella storia. La tensione che anima il testo, sorretta dalle anafore (a che.. a che.. mi chiedo.. mi chiedo) nasce dal drammatico interrogativo del poeta: quanto dolore è necessario perché la promessa del Messia si avveri ("ancora un poco e di nuovo mi vedrete", nel Vangelo di Giovanni XVI, 16 detto da Cristo con allusione alla propria morte e risurrezione)?
La seconda strofa tenta di rispondere: forse (questo forse a inizio verso rende il dubbio straziante), forse la presenza di Cristo va ricercata nell'umanità oppressa, nell'esercito di poveri.
Candidato più volte al Nobel, non lo otterrà mai, sfiorandolo nel 1997, anno in cui lo vinse poi Dario Fo. Un riconoscimento del suo genio poetico lo ebbe in altro modo: venendo nominato senatore a vita alla vigilia dei novant'anni dal presidente Ciampi per "aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario ed artistico". Poco presente in parlamento a causa dell'età già più che avanzata e dei conseguenti problemi di salute, si lascia però andare ad una serie di esternazioni sul premier Berlusconi in seguito all'aggressione subita nel 2005, paragonandolo a Mussolini:
"Il ragazzo di Mantova è un po' esaltato. Non sopravvaluterei l'episodio. Io lo condanno, ma non facciamola troppo lunga. Il premier è molto bravo a fare la vittima". Il senatore a vita Mario Luzi, grande poeta italiano, commenta così in una intervista con il Messaggero l'aggressione subita da Silvio Berlusconi a Roma l'ultimo dell'anno. E rincara la dose aggiungendo un paragone che fa infuriare il centrodestra, quello fra il presidente del Consiglio e Benito Mussolini. "Anche Mussolini -ricorda Luzi- si mise un cerotto sul naso. Era stato colpito da un proiettile.Fu nel 1926. Mussolini era uscito da Palazzo Chigi e un turista gli sparò con la pistola. L'attentatrice era una signorina irlandese, Violet Gibson". Per certi aspetti -aggiunge Luzi- Mussolini e Berlusconi si somigliano" (da Rainews24.it, 30-01-2005)
Un mese dopo si spegne a Firenze, il 28 Febbraio 2005: in sua memoria una lapide nella Basilica di Santa Croce.
Breve sunto della produzione poetica1 Primo periodo: Prima raccolta: "La Barca" (1935), seguita da "Avvento notturno" (1940),"Un brindisi" (1946), "Quaderno gotico"(1947). Questa prima fase, che durerà circa un decennio, è quella «più propriamente ermetica della poesia di Luzi; scelta, questa dell'ermetismo, che verrà non abbandonata ma ampliata e approfondita negli anni successivi. E' già presente, tuttavia, un aspetto che perdurerà in tutte le stagioni poetiche di Luzi. Franco Fortini, critico e poeta cui si è dedicata una scheda, l'ha definita "certezza dell'essenza spirituale dell'universo", dalla quale consegue la "possibilità di conoscere tale essenza per via intuitiva, indipendentemente dalla storia umana". Non è strano che Fortini apra un suo saggio su Mario Luzi proprio con questa premessa; a lui, poeta immerso nella storia e impegnato politicamente e civilmente, questo volontario astrarsi dal mondo appare probabilmente passivo, rinunciatario; il che, d'altro canto, non lo porta certo a sottovalutare l'importanza dell'opera del poeta fiorentino. Nel concreto, questo fondamentale aspetto della poesia di Luzi si traduce, almeno inizialmente, in liriche che si rifanno al simbolismo e al suo maestro Mallarmé per il linguaggio prezioso e cifrato, per l'assenza totale della realtà contingente e della storia.» (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/luzi.htm)
Secondo periodo: Inaugurato da "Primizie del deserto" (1952), continua con "Onore del vero" (1957), "Dal fondo delle campagne" (1965) e "Su fondamenti invisibili" (1971). Considerato il periodo migliore dell'autore, si caratterizza per una forte inquietudine di fondo, percepibile dalle descrizioni paesaggistiche aspre e perennemente dominate da un vento continuo. La presenza umana è scarsa.
Terzo periodo: Aperta da "Al fuoco della controversia" (1978), l'ultima fase si caratterizza per una variazione dello stile in direzione più prosastica, accompagnata da quell'unione di spiritualità e d'attenzione alla storia contemporanea a cui ho fatto accenno in precedenza. Di questo periodo anche la celebre "Per il battesimo dei nostri frammenti" (1985).
In conclusione, tra le ultime perle del grande poeta, all'interno delle "Parlate" (2003):
La giovane ebrea al suo amato musulmano
C’è una pozza di sangue tra te e me.
Mio Dio, chi l’ha versato?
chiunque sia stato,
caro, è sangue sprecato.
Ma io so che l’amore
mio, se mi aprirai le braccia,
potrà vederlo asciugato.
Vieni, non tardare.
Lilith
1. La produzione del Luzi è molto vasta, e conta al suo interno numerose opere in prosa (saggistica e no) e di teatro: mi sono limitata ad un sunto delle raccolte poetiche.